martedì 24 agosto 2010

Una boccata d'aria.

Nessun problema per uscire dall'Algeria, ero in regola con tutto. Scherzo con la polizia di frontiera.
Arrivo a Tabarka (Tunisia) nelle prime ore del pomeriggio.  Tabarka é un paese di pescatori, ad appena dodici chilometri dalla frontiera algerina,  che vive di pesca e di turismo relegato in resort costruiti più in là, lontani dal paese, con la spiaggia privata e le loro regole tutte interne. Non avevo intenzione di fermarmi a Tabarka, ma semplicemente di attraversarla. Poi, una volta arrivato, mi è sembrato che il paese mi stesse dando una boccata d'aria, e sento per la prima volta il peso della tensione che avevo accumulato in Algeria.
Decido di fermarmi e trovo un albergo in paese per dieci euro la notte. Conosco Samir, un ragazzo che lavora come muratore ad Ancona e rimane stupito nel sapere che arrivo dall'Algeria con la moto.
La sera (sempre quando il Ramadan lo consente) ceniamo assieme e mi racconta un sacco di cose: storie di paese, contrabbando tra Algeria e Tunisia, dell'oro lasciato dalle guerre che è ancora sepolto in quelle terre, del Ramadan, delle donne musulmane, dei sogni e dei suoi primi periodi da clandestino in Italia. E io gli racconto delle mie impressioni sull'Algeria, dell'albergo senza acqua corrente, che durante il Ramadan a pranzo è impossibile mangiare, dei posti di blocco, del fatto che non esistono i supermercati. Qui è tutto così pulito, ordinato, composto. Altrettanto sincero? mi chiedo. Rifletto su quello che mi ha lasciato l'Algeria, un Paese di onestà disordinata e sporca.

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